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La Polenta Taragna e le antiche leggende ad essa legate

Racconti popolari e aneddoti del celebre piatto valtellinese

Decorazione montagne

25 Settembre 2025

La Polenta Taragna nasce tra le montagne della Valtellina, è una delle versioni più golose della polenta e si distingue per i suoi ingredienti ricchi e saporiti, ideali per affrontare i rigidi inverni alpini: per prepararla si utilizza una miscela di farina di mais integrale e farina integrale di grano saraceno unita al burro e ai formaggi locali. Si può gustare da sola, ma è spesso accompagnata da funghi porcini trifolati, salsicce, brasati o uova al tegamino.

Il suo nome deriva dall’espressione dialettale “tarare”, che significa mescolare con il “tarél”, ovvero il bastone di legno con cui si mescola vigorosamente la polenta.
E’ proprio da qui che nasce la figura quasi mistica del tarél, colui che mescola la polenta nel paiolo: alcune storie popolari narrano che il tarél fosse un personaggio sacro, il cui compito era mescolare la polenta per ore senza mai stancarsi e che fosse il solo a conoscere il punto esatto in cui la taragna era “perfetta”.

Le leggende popolari legate alla Polenta Taragna

Come molti piatti rustici e antichi, la polenta taragna, è legata a leggende popolari e aneddoti: benché non ci siano “leggende ufficiali”, ci sono antiche credenze e racconti contadini che si sono tramandati da generazione in generazione e sono arrivati fino ad oggi.

1. La leggenda della strega Taragna

Si narra che fra i boschi della Valtellina tanto tempo fa vivesse una vecchia donna solitaria, da tutti chiamata Strega Taragna, che conosceva i segreti delle erbe e dei campi ed era capace di preparare pietanze magiche con ingredienti semplici.

Si diceva che la strega preparasse una polenta scura, filante e profumata e con un potere particolare: rendeva più forte, più felice e più sereno chiunque la mangiasse.
La polenta veniva mescolata in un paiolo magico sempre nello stesso senso mentre la strega canticchiava antiche parole in dialetto valtellinese.

Molti temevano la strega, ma durante gli inverni più rigidi, i pastori e i viandanti si spingevano fino alla sua baita, attratti dall’aroma irresistibile della polenta che cuoceva sul fuoco. Lei li accoglieva, offriva un piatto caldo, e in cambio chiedeva solo rispetto per la montagna, la natura, e le sue antiche tradizioni.

Con il tempo, la strega scomparve. Alcuni dicono che si trasformò in nebbia, altri che si ritirò tra le cime più alte. Ma la sua ricetta magica è rimasta: si dice che il profumo della polenta taragna si sente nei boschi e che sia la strega che ancora cucina per i viandanti dispersi.

2. La leggenda del formaggio che canta

Una leggenda contadina racconta che il formaggio usato per la taragna, solitamente Casera, Bormio e Scimudin nelle versioni più moderne, sia “vivo” e canti quando inizia a fondersi lentamente nella polenta.

Il canto appunto non era altro che lo sfrigolio del formaggio che frigge leggermente a contatto con la polenta calda e il burro nel paiolo, ma per i bambini era pura magia.
Si credeva che chi riusciva a sentire chiaramente “il canto del formaggio” avrebbe avuto un raccolto abbondante o un inverno più mite.

Ancora oggi nelle sagre valtellinesi, quando si serve la polenta taragna, si usa dire:
“Sentite…il formaggio sta cantando, la polenta è pronta!”.
Questo canto infatti è un segno che il piatto è stato preparato correttamente a fuoco lento, con pazienza e ingredienti autentici e genuini.

3. La notte della taragna magica

Un racconto popolare diceva che ogni 21 dicembre, durante la notte più lunga dell’anno, gli spiriti degli antenati tornassero a visitare le case in cui avevano vissuto.
Per accoglierli al meglio, i contadini più anziani cucinavano una speciale polenta taragna chiamata per l’occasione “taragna magica”.
Il primo piatto fumante non poteva essere mangiato, ma veniva lasciato fuori dalla porta della propria abitazione, come dono per gli spiriti perché si nutrissero e potessero benedire l’anno a venire.

Ma chi si dimenticava di farlo, rischiava di svegliarsi il mattino seguente con una brutta sorpresa: il paiolo era vuoto e l’inverno sarebbe rimasto senza neve, segno di maledizione e carestia poiché la mancanza di neve significava anche niente acqua per i raccolti primaverili.

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